È mai possibile che una persona nata oggi possa sperare di soffiare su ben 150 candeline? Ecco cosa ne pensano alcuni scienziati sul futuro della longevità umana.
Una curiosa sfida tra due scienziati, Steven Austad e Jay Olshansky, si è conclusa con una scommessa sul raggiungimento dei 150 anni di età da parte di una persona nata prima del 2001. Con l’aumentare dell’interesse e della posta in gioco nel 2016, i loro discendenti potrebbero ritrovarsi con una bella cifra tra le mani nel 2150 se le profezie economiche si avvereranno.
Di recente, Olshansky e un gruppo di esperti di rinomate università hanno pubblicato uno studio su Nature Aging che pare dare ragione alla sua posizione scettica. I dati mostrano che l’aumento di aspettativa di vita che abbiamo visto nel secolo passato non sta proseguendo con la stessa tendenza, il che potrebbe significare che tanti bambini di oggi difficilmente arriveranno al secolo di vita.
Quali sono i confini biologici dell’aspettativa di vita?
Nonostante il fatto che ci sia un incremento di individui che potrebbero raggiungere i 100 anni in questo secolo, Olshansky sostiene che si tratterebbe di eccezioni. Dal 1990, l’incremento di aspettativa di vita nelle popolazioni più longeve si attesta attorno ai sei anni e mezzo, un indizio che potrebbe far pensare a un possibile limite biologico della nostra longevità.
In otto paesi con popolazioni tra le più longeve, che includono l’Italia, il Giappone e la Svezia oltre a Hong Kong e gli Stati Uniti, si nota che, per esempio, a Hong Kong solo il 12,8% delle nate nel 2019 potrebbe vivere fino a 100 anni, mentre nei ragazzi la percentuale scende al 4,4%. Numeri ancora più bassi si registrano negli USA.
La longevità nel futuro: quali aspettative sono realistiche?
Lo studio ha preso in considerazione anche ipotesi di longevità estreme, come nel caso delle donne giapponesi che potrebbero vivere fino a 150 anni, ma Olshansky e team hanno espresso dubbi su queste previsioni, convinti che forse abbiamo già toccato il nostro tetto massimo di longevità.
Secondo Olshansky, invece di mirare allo slittamento del limite di vita, sarebbe più utile concentrarsi sull’allungamento dello “healthspan”, cioè il periodo della vita passato in salute. La medicina e la ricerca scientifica hanno molto da offrire ancora, in particolar modo per incrementare la qualità della vita nella terza età, senza trascurare l’aumento delle malattie croniche e i cambiamenti comportamentali che incidono sulla salute generale.
Infatti, Jan Vijg, biologo e genetista, appoggia le conclusioni della ricerca, notando che non vi sono evidenze convincenti che confermino l’idea che vivere fino a 100 anni diventerà comune nel futuro prossimo. Anche Nalini Raghavachari ha messo l’accento sull’importanza di puntare su un invecchiamento sano per poter sviluppare trattamenti efficaci.
“È meglio aggiungere vita agli anni che non anni alla vita”, questa frase di George Meredith risuona particolarmente oggi, alla luce dei recenti studi sulla longevità umana. La scommessa tra Austad e Olshansky, iniziata nel 2001, sembra appoggiarsi sempre più verso la visione realistica di Olshansky, secondo cui i limiti della vita umana potrebbero essere già stati raggiunti.
La ricerca, condotta con la collaborazione di istituti prestigiosi come Harvard e l’Università della California, ci ricorda che forse è giunto il momento di spostare il nostro focus dalla semplice estensione della durata della vita all’ampliamento della qualità della vita negli anni anziani. In un’epoca in cui le malattie croniche e la multimorbilità minacciano la nostra esistenza, l’obiettivo dovrebbe essere vivere non solo più a lungo, ma meglio.
Questa prospettiva ci invita a riflettere sulla vera essenza dell’esistenza umana, spingendoci a valorizzare ogni momento con la consapevolezza che la qualità della nostra vita è forse l’investimento più prezioso. In ultima analisi, la sfida della longevità umana non risiede nell’aggiungere anni alla vita, ma vita agli anni, come saggiamente indicato da Meredith.